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La scuola al centro della comunità educante

Gli esperti sostengono che solo una scuola non autoreferenziale, aperta alla comunità territoriale e all’intera società può vincere una falsa idea di neutralità scolastica e di indifferenza educativa e riuscire a contrastare la dispersione scolastica e la povertà educativa. Una comunità che diventa “educante” e che si concretizza nella rete di soggetti che, in un determinato territorio, decide di assumere una responsabilità condivisa per la crescita dei bambini, delle bambine e degli adolescenti.

Nell’introduzione dell’ e-book Flipped in Rete - Schede operative per attivare la Flipped Classroom nella scuola Percorsi di FlipClass, PBL, Peer Learning e Learning Cycle, a cura del prof. Luca Piergiovanni, leggiamo che: La sfida a cui siamo chiamati noi educatori oggi giorno è molto alta. Ci troviamo in una transizione epocale che sta ridisegnando il paradigma culturale che ha accompagnato finora la nostra esistenza. In particolare, l’utilizzo quotidiano del Web sta rimodellando i processi di apprendimento ed è quindi necessario trovare nuove strategie d’insegnamento, imparare a riprogettare l’apprendimento dentro Internet, con la consapevolezza dei rischi di superficialità, dispersività, inaffidabilità, illegalità, che possono tuttavia essere superati con l’utilizzo di strumenti e ambienti di Rete adeguati. C’è quindi bisogno di un educatore che sappia mettersi in gioco, che scenda dalla cattedra per vestire i panni di un direttore d’orchestra o di un regista (…). Un insegnante che sappia leggere e accettare i cambiamenti in atto nella società contemporanea, che sia conscio del diverso profilo cognitivo degli studenti odierni, che sappia usare la Rete per produrre conoscenza, riuscendo a gestirne sapientemente rischi quali superficialità, dispersività, inaffidabilità e illegalità. Un insegnante social: un grande comunicatore e motivatore, in grado di aggiornarsi tramite la Rete in un’ottica di apprendimento permanente; disposto a condividere con i colleghi di tutto il mondo progetti e idee; capace di produrre contenuti digitali con le proprie classi. Tutto questo, ridefinendo la propria didattica, lo spazio-classe, la programmazione disciplinare, l’equilibrio tra conoscenze e competenze, la valutazione… Da ultimo, occorre chiederci (…) se la nostra scuola possa essere definita una comunità di apprendimento, con docenti, studenti e famiglie sempre pronti a collaborare, a documentarsi, a condividere e produrre conoscenza. (Flipped in Rete - Schede operative per attivare la Flipped Classroom nella scuola Percorsi di FlipClass, PBL, Peer Learning e Learning Cycle)

A questo punto è proprio il caso di chiedersi: Ma la nostra scuola può essere definita una “comunità di apprendimento”, con tutti gli attori coinvolti sempre pronti a collaborare, a documentarsi, a produrre conoscenza… e a contrastare la dispersione scolastica e la povertà educativa?

Una “comunità educante” in cui tutti i soggetti pubblici e privati coinvolti nel processo educativo siano capaci di lavorare in sinergia: di condividere strumenti, modalità organizzative e pratiche di lavoro; di individuare comuni prospettive di senso e di cambiamento; di costruire alleanze con i soggetti del terzo settore e con le realtà del privato sociale. Non parliamo solo di docenti, famiglie, personale scolastico… ma anche di associazioni culturali e sportive, di istituzioni e organizzazioni non governative che si prendono carico delle situazioni di disagio presenti nel sistema educativo territoriale e si impegnano a garantire il benessere e la crescita di bambini/ragazzi e a contrastare la dispersione scolastica.

Purtroppo i dati ufficiali che abbiamo sull’argomento dalle varie indagini nazionali e internazionali ci dicono che sono ancora troppi i casi di dispersione scolastica e che difficilmente in Italia si riuscirà a raggiungere l’obiettivo di un passaggio da una scuola chiusa ai soli alunni/studenti/docenti a una comunità territoriale inclusiva, in grado di assumersi in maniera diffusa il suo ruolo educativo e formativo.

Infatti, se guardiamo i dati dell’ultimo rapporto Eurostat sull’abbandono scolastico, l’Italia è ancora lontana dal target europeo del 9% da raggiungere entro il 2030. Pur essendo passati da un tasso di abbandono pari al 18,6% (su una media UE del 13,8%) nel 2010 a quello del 13,1% del 2020, infatti, la percentuale è comunque ancora molto al di sopra del valore minimo di riferimento (il 9,9%). Il nostro Paese è tra quelli dove con più frequenza i giovani tra i 18 e i 24 anni risultano fermi al primo ciclo di istruzione. Hanno abbandonato il sistema di istruzione senza conseguire, quindi, il diploma di scuola superiore o titolo equivalente. Peggio di noi solo Islanda (14,8%), Romania (15,6%), Spagna (16%), Malta (16,7%), Turchia (26,7%). Tra quel 13,1% che non ha completato il ciclo secondario, solo il 4,3% risulta occupato e sono il 2,4% quelli che non hanno neanche intenzione di cercare un lavoro: sono i cosiddetti NEET (Not in Education, Employment or Training), persone non impegnate né in attività di studio né lavorative.

Contrastare la dispersione scolastica dovrebbe essere una priorità per tutta la società.
Dewey, già nel 1976, sosteneva che la società può essere coerente con sé stessa soltanto se riesce a promuovere la crescita totale degli individui che la costituiscono e, per andare in tale direzione, niente conta tanto quanto una scuola in grado di organizzarsi bene e in maniera condivisa con il territorio, lungo direttrici comuni, con spirito e scopi comuni. Questa sfida si può vincere solo se tutti gli attori sono uniti, in quella “comunità educante” di cui sempre più spesso si parla: una comunità educante in cui tutti gli attori abbiano un ruolo nel combattere la dispersione scolastica.

Ma come può la scuola realizzare tutto ciò?
Costruire una comunità educante vuol dire impegnarsi per rigenerare il territorio, a partire dai diritti di bambini/ragazzi, promuovendo la bellezza, l’inclusione e l’accoglienza, la legalità, la cultura, l’ambiente, la valorizzazione delle differenze, la cittadinanza attiva. Occorrerebbero un crescente scambio di idee per far maturare la partecipazione attiva e responsabile, nella risoluzione dei problemi e delle relazioni, favorendo così lo sviluppo di un nuovo sapere, una nuova etica del genere umano, locale e globale, in cui ogni individuo si riconosce anche nella sua comunità e nella sua società… e nella scuola non più semplici insegnanti di discipline ma educatori, guide capaci di agevolare i percorsi di interconnessione e di indurre sempre maggior autonomia e autorganizzazione. Una specie di educazione diffusa, in grado di trasformare il territorio in una grande risorsa di apprendimento, di scambio e di sperimentazione. Nell’educazione diffusa si assiste alla costruzione di un tessuto sociale solidale, responsabile, attento a ciò che vi accade, a partire dal nuovo ruolo che bambini e adolescenti possono svolgervi come attori capaci di portare la società a interrogarsi e a muoversi in un modo diverso.

Come afferma il pedagogista Andrea Canevaro in un’intervista di Sara De Carli dell’ottobre 2017, “comunità educante” significa mettere in moto operosità, riconoscere che ognuno ha qualcosa in cui è capace e, allo stesso tempo, che nessuno può bastare a sé stesso. Lo scopo principale è non far vivere nessuno in una posizione assistenziale… (…) man mano che uno cresce ha bisogno di un progetto, alle superiori le cose che si apprendono devono essere collocate non nell’orizzonte dell’interrogazione ma del progetto di vita. Uno impara perché desidera fare qualcosa, ad esempio diventare una guida turistica: chi insegna invece spesso non pensa al progetto in cui si inseriscono i contenuti che trasmette.
(Per vincere la dispersione la scuola non balli da sola)

La comunità educante non sostituisce la scuola, ma ne migliora l’esperienza, coinvolgendola nella promozione di un nuovo modello sociale ed educativo. Infatti, ogni iniziativa dovrebbe avere come obiettivo quello di elaborare interventi educativi e metodologie didattiche inclusive nelle scuole e realizzare laboratori identificati dalla comunità educante su proposta dei ragazzi. Ecco perché i progetti che puntano a prevenire la dispersione scolastica cercano di rafforzare il senso di comunità e di formare reti solidali di cittadini, in modo da rendere bambini e adolescenti consapevoli di una realtà più ampia e variegata.

Secondo le Indicazioni nazionali per il curricolo dell’infanzia e del primo ciclo (2012), la scuola si deve aprire alle famiglie e al territorio circostante, facendo perno sugli strumenti forniti dall’autonomia scolastica, che non è solo una legge ma è un modo nuovo di concepire il rapporto delle scuole con le comunità di appartenenza, locali e nazionali. L’acquisizione dell’autonomia rappresenta un momento decisivo per le istituzioni scolastiche. Grazie ad essa si è già avviato un processo di sempre maggiore responsabilizzazione condiviso dai docenti e dai dirigenti, che favorisce altresì la stretta connessione di ogni scuola con il suo territorio. In quanto comunità educante, la scuola genera una diffusa convivialità relazionale, intessuta di linguaggi affettivi ed emotivi, ed è anche in grado di promuovere la condivisione di quei valori che fanno sentire i membri della società come parte di una comunità vera e propria. La scuola può affiancare al compito dell’ “insegnare ad apprendere” anche quello dell’ “insegnare a essere”.

Nella comunità educante, secondo Canevaro, sono fondamentali i mediatori e cioè le persone, gli oggetti e i luoghi. Ad esempio una giornalaia che conosco è un grandissimo mediatore, perché oltre a vendere dei prodotti dà a tutti le indicazioni di cui hanno bisogno, come dove far riparare un vestito. Diventa un organizzatore sociale della comunità. Questo per ricordare che la scuola non può pretendere di essere “il” mediatore, è “un” mediatore. Se vicino alla scuola c’è un campetto dove i ragazzi giocano e se nel campetto c’è un chiosco di bibite, anche quel barista dovrebbe essere coinvolto.

Fondamentale è riuscire a far crescere il protagonismo dei ragazzi e degli adolescenti. Ma come?
Creando progetti condivisi in cui riconoscersi, afferma il professor Canevaro, Progetti che vadano non a rompere i legami con gli altri ma a rinforzarli. E poi ricordandosi che l’aspetto educativo è importante ma non deve mai diventare qualcosa che fa scappare: chiunque scapperebbe da quelli che “vogliamo insegnarti a vivere”! No, nessuno vuole insegnarti a vivere, impariamo insieme a vivere. (Per vincere la dispersione la scuola non balli da sola)

Infatti, studiando le motivazioni che producono la povertà educativa, ricercatori e insegnanti hanno capito che il coinvolgimento degli adolescenti nell’elaborazione di proposte per la scuola e le istituzioni territoriali rappresenta una condizione sostanziale per una probabile risoluzione del problema, perché così capiscono che solo curando il loro presente possono diventare consapevoli cittadini del futuro. (Qual è la missione della scuola nel XXI secolo?)

A cura di Viviana Rossi e Maria Enrica Bianchi

Sitografia
Flipped in Rete - Schede operative per attivare la Flipped Classroom nella scuola Percorsi di FlipClass, PBL, Peer Learning e Learning Cycle
Che cos’è la comunità educante e come costruirla: 7 suggerimenti
Adesso la scuola ha bisogno di nuove priorità
La comunità educante contro la dispersione scolastica e la povertà educativa
Qual è la missione della scuola nel XXI secolo?

 

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